Mentre si intensifica l'aggressione imperialista ad Est e a Sud, il boomerang torna alla base

SI ACCENDE LA LOTTA
NEL CUORE DELLA METROPOLI

La Guerra del Golfo ve la ricordate? Sono passati pochi mesi da quando la Santa Alleanza d'Occidente, su "mandato ONU", ha vinto la sua crociata di "civiltà" contro il bieco Saddam, colpevole di aver violato i 1egittimi diritti" degli emiri kuwaitiani in spregio al "diritto internazionale". Montagne di cadaveri sono state appena sepolte e, intanto, ad esse se ne aggiungono altre, di bambini in particolare, mietute "pacificamente" attraverso l'embargo (quello stesso embargo che a certa sinistra "vera" sarebbe piaciuto si fosse attuato sin dall'inizio in "alternativa" alle operazioni militari). Nel frattempo, non risulta che nel Kuwait 9iberato" si sia instaurata alcuna democrazia. Ma non importa. Né risulta che la promessa soluzione della questione palestinese, di cui la messa k.o. di Saddam si diceva essere la premessa necessaria, stia facendo dei passi in avanti. Importa ancor meno...

Quello che per le classi dirigenti d'Occidente è grave è che questa vittoria blitz, consumatasi nell'indifferenza e nella complicità degli stessi personaggi che osano richiamarsi a "valori post-capitalistici, non sia servita in nulla a rivitalizzare la macchina della produzione e del profitto, nonostante il sempre più rigido e dittatoriale controllo esercitato sulle fonti delle materie prime medio-orientali, mentre crescono a dismisura l'insofferenza e l'odio verso l'Occidente di quelle popolazioni. La macchina capitalista appare ovunque ansimante ed inceppata. Ed allora?

Occorre un'altra crociata militare? Presto fatto. La Libia è lì, pronta all'uso. L'ONU non ha che da firmare il foglio d'ordini che Washington le passa. Poi non mancheranno, al solito, di prestarsi al gioco ideologico di giustificazione dell'operazione militare ("se Gheddafi proprio ce lo impone"!) gli infiniti manutengoli dell'imperialismo, e già dalle colonne de "l'Unità" si è ammonito l'agnello che esso sta intorbidando l'acqua del lupo, e cioè che pretende un po' troppo: addirittura di poter disporre un tantino in proprio delle "nostre" risorse petrolifere e, persino, di vantare un qualche titolo di indipendenza nei nostri confronti. Di noi padroni.

Contemporaneamente si svolge verso l'Est una seconda guerra, non meno cruenta (anche quando provvisoriamente tacciono le armi, il che si dà sempre meno!), per convertire la "morte del comunismo" nel più grosso affare del secolo per l'Occidente. In fondo, non si tratta che di smembrare indefinitamente l'ex-blocco sovietico e farne un libero campo di rapina neocoloniale. Dopo aver fatto della Jugoslavia un immane campo di battaglia, in cui le locali "nazioni" si sbranano tra di loro a profitto dei "nostri" interessi finanziari e strategico-militari, si sta attuando lo stesso disegno per quel che concerne l'ex URSS. Ci si ucciderà? Si morirà di fame? E cosa conta, se l'acqua tornerà a fluire abbondante e "pulita" per i "nostri" lupi?! Anzi, suggeriscono i "riformisti", se così sarà, qualche goccia di essa potrà travasarsi nelle tasche degli stessi lavoratori. E dunque...

Questo il "nuovo ordine mondiale", questa la "riorganizzazione" di cui esso è capace. Volevate dimostrare che, in fin dei conti, HitIer era solo un dilettante? Ci siete riusciti.

Epperò, questo disegno sta incontrando delle inattese difficoltà.

Ad Est persino dei campioni di servilismo verso l'Occidente quali Walesa ed El'tzin debbono dire: "non intendiamo assolutamente trasformarci in colonie imperialiste", non intendiamo barattare la nostra dignità in cambio di un tozzo di pane (oltretutto sempre promessoci e mai messoci in tavola).

Dal mondo arabo s'erge l'ammonimento di Mubarak ai suoi protettori occidentali: andateci piano con la Libia, perché da qui non potremmo coprire una seconda "tempesta nel deserto".

Se simili personaggi, il cui carattere borghese ed anticomunista sino all'osso è fuori d'ogni discussione, si azzardano a dire cose simili, ciò significa una cosa soltanto: che il terreno sociale sta ribollendo sotto i loro piedi, che in esso cova una rivolta che, ove scoppiasse, nessuna batteria di missili, nessuna "polizia internazionale", più o meno onuista, sarebbe poi in grado di controllare e domare. E ne soffrirebbero non solo le locali bande al potere, ma l'intera impalcatura dell'ordine capitalistico mondiale.

E' questo il primo aspetto di quello che abbiamo chiamato 1' "effetto boomerang" conseguente all'offensiva imperialista.

Ma c'è un secondo aspetto, non meno importante.

Le stesse metropoli imperialiste sono scosse al loro interno da una serie crescente di contraddizioni e conflitti sociali, a misura che il capitalismo in crisi non ha trovato sufficiente ossigeno per rilanciarsi dalle sue sfolgoranti vittorie fuori casa e deve attaccarsi, per sopravvivere, come un vampiro alle carni del suo stesso proletariato.

L'attuale ondata di scioperi in Germania è un segno premonitore della svolta cui si va incontro. È certo che i socialdemocratici tedeschi si dimostreranno, nel momento decisivo, ben consci del loro ruolo di tutori del presente ordine economico-sociale e faranno di tutto perché l'incendio non divampi incontrollato oltre i limiti del "compatibile". Intanto, però, il gigante proletario si è messo in moto, ed è certo che esso non si fermerà. Non potrà fermarsi.

Un altro segno eloquente ci è dato dalla rivolta dei ghetti neri e latino-americani negli USA. Una rivolta cui, sicuramente, sono mancate una prospettiva ed una organizzazione di classe e perciò destinata ad esaurirsi, al momento, in una fiammata incoerente ed isolata. Ma che fiammata, ragazzi! E non è poco che in essa si siano ritrovati anche strati di arrabbiati della "nostra" stessa razza, dei poor white in espansione. Insieme, e per le stesse ragioni di fondo (che travalicano i confini "razziali"), si sono bruciate le bandiere stelle e strisce. Insieme si incendieranno domani i palazzi del potere. Anche qui vedremo all'opera un infinito numero di necrofori per riportare le cose all'ordine: ma quest'ordine si è già definitivamente consumato e nessuna chiacchiera, nessun spiegamento di truppe (oltre 20.000 armati per domare i Saddam interni a Los Angeles!) potrà ripristinarlo mai.

Il fronte di guerra non solo si allarga, ma vede spostarsi i suoi fronti. Appena ieri la linea di scontro era tra il blocco "unitario" dell'Occidente, col codazzo delle sue Legioni Straniere al seguito, ed uno stato ribelle dei paesi dominati e controllati confortato appena - si fa per dire! - della platonica solidarietà di pochi circonvicini. Oggi si va delineando un vero e proprio fronte di questi ultimi paesi, mentre all'interno del blocco occidentale si acutizzano i contrasti interni ai briganti che lo compongono. Ma, soprattutto, si profila netta la prospettiva che un fronte di classe si apra qui, quello degli sfruttati interni contro i propri padroni. Il nemico principale sta nel nostro paese".

A questo fronte è demandato di congiungersi internazionalmente all'insieme della rivolta anti-imperialista già in atto alla "periferia" dell'impero. Solo insieme ci si può battere, e vincere.

Le parole d'ordine: "Giù le mani dalla Libia! Giù le mani dall'Est!" fanno una sola cosa con quella che qui ricomincia a risuonare: "Giù le mani dalle nostre tasche, dai nostri diritti, immediati e storici!". Via l'imperialismo dai paesi dominati e controllati! Via l'imperialismo dalle metropoli! All'offensiva capitalista null'altro si può utilmente contrapporre che non sia il socialismo internazionale, la dittatura internazionale del proletariato.

Questa la lezione del presente, questa la prospettiva del futuro!